Via Lugo è una strada dell’immediata periferia di Genova, nel quartiere dove sono nato e cresciuto, San Teodoro. Quando ero bambino io, quindi a cavallo degli anni 70 e 80, quel gruppo di case popolari si chiamava lo “Smistamento”. E per noi ragazzini era sinonimo di posto malfamato, popolato da “legère”, gente poco raccomandabile. Quindi: territorio off limits, un confine invisibile veniva eretto dalle raccomandazioni dei genitori. E se in classe arrivava uno “dello smistamento”, be’, ci veniva insegnato che era uno sicuramente da evitare, un poco di buono di certo, uno a cui non dare confidenza, una cattiva compagnia.
Allo Smistamento venivano mandate dal Comune, negli alloggi popolari, famiglie in difficoltà, con problemi di povertà, inserimento, solitamente si trattava di immigrati dal Sud.
Io ricordo una mia compagna di classe delle medie, che veniva da quel quartiere, era originaria di Bagheria, aveva degli occhi azzurri bellissimi, era ripetente perché le toccavano già le faccende di casa con un sacco di fratelli più piccoli a cui badare, fumava qualche sigaretta, non faceva i compiti. Ai miei occhi di bambinetto cresciuto nella bambagia, la distanza che mi separava da lei sembrava molta di più dell’anno certificato dai documenti.
Il muro invisibile, con gli anni, è lentamente crollato, quella strada è diventata una delle tante del quartiere. C’è stata per lungo tempo la sede dei Volontari dell’Assistenza con le sue ambulanze, c’è un campo da calcio frequentatissimo dalla gente del quartiere e non solo. Ci sono anche problemi (case occupate, abusivi ecc), ma né più né meno che in altri quartieri popolari della città.
In questi giorni, leggendo le pagine del Gruppo Facebook “Sei di San Teodoro se…” e poi un articolo online sul Secolo XIX ho scoperto che all’ex Smistamento i residenti – in gran parte figli, nipoti di quelli che a noi del quartiere si insegnava a tenere a debita distanza – di muro ne vogliono alzare un altro. Nessuno di loro, forse, ricorda quello che divideva quella strada dal resto del quartiere. Oggi, soltanto basandosi su voci, sono scesi in presidio per evitare che in una struttura del quartiere vengano ospitati dei profughi.
È la solita triste storia di questi giorni in cui i fomentatori di intolleranza trovano terreno facile. “Qui non li vogliamo, dobbiamo garantire la nostra sicurezza”… Il solito refrain della paura, alimentato ad arte dalla televisione dei Del Debbio e dei Paragone, dalla Lega di Salvini e da una destra fascista sempre pronta a inoculare un po’ di odio nella nostra società.
Ma di insolito, in questa storia, c’è l’oblio, evidente, di un intero quartiere. All’epoca dello Smistamento gli abitanti di via Lugo hanno vissuto sulla loro pelle l’intolleranza, il rifiuto, anche la paura di chi già viveva lì e a un certo momento li ha visti arrivare. Come al solito per i pochi che si comportavano male, tanti, secondo me la maggioranza, cercavano solo una vita dignitosa, tra quelle case. Quel che è accaduto 30-40 anni fa lì è stato esattamente quel che sta accadendo oggi: si prova – con tutti i limiti e le possibilità di errore – ad accogliere persone in difficoltà. Allora dando loro una casa, oggi magari un letto in cui dormire.
Mi consola, leggere su Facebook, tra le decine di commenti con il solito armamentario propagandistico (“portano malattie, ci rubano nelle case, perché non aiutano prima gli italiani”) qualcuno che tenta di ricordare e far ricordare quel passato non così lontano.
Uno scambio, in particolare, mi ha fatto riflettere e mi ha spinto a scrivere questo post:
“Questo quartiere ha già sofferto abbastanza, basta non arrendiamoci”
Risposta: “Verissimo questa zona ha già sofferto abbastanza e soffre ancora… Sopratutto soffre di amnesia. Chi si ricorda come veniva chiamata la zona di via Lugo negli anni 70 e primi anni 80?”