Due brani tratti da “Nome di Battaglia: Corsaro” (Fratelli Frilli Editore, Genova, 2009)
Georges Brassens cantava La non demande en marriage, lo stoccafisso accomodato fumava nel piatto e Gabriele stava lasciando che ogni papilla gustativa si impregnasse del Barbaresco Riserva che aveva insistito per aprire. Non era stato facile convincere Pierre, un anarcoide che tuttavia sulle cose legate ai piccoli piaceri dei sensi aveva regole ferree: la sublime granita di Don Paolo, a Castelletto, ad esempio, andava mangiata esclusivamente da maggio a settembre. E solo al gusto di mandorla. E – attenzione – con panna soltanto nelle giornate meno calde, altrimenti liscia. Provare a sottrarsi a queste norme significava guadagnarsi non il disprezzo, ma sicuramente la disapprovazione di Pierre. Il quale, dunque, per lo stoccafisso, se proprio si voleva rimanere sul rosso, poteva al massimo concedere di arrivare a un Rossese della riviera di Ponente. Anche se lui avrebbe preferito, e aveva già messo in frigo, una robusta Vernaccia di San Gimignano. Gabriele non amava i bianchi e per archiviare quella giornata faticosa e amara aveva preteso un rosso importante, che lui aveva acquistato in un’enoteca in San Matteo. Pierre aveva ceduto solo in cambio della promessa di un racconto dettagliato della conclusione dell’inchiesta su Richetto.
Pierre era un conversatore instancabile, capace di non smettere di parlare anche nei tratti più ripidi dell’ascesa al Monte Antola ma, al contrario di molti chiacchieroni che amano udire soltanto il suono della propria voce, aveva anche la grande virtù di essere curioso e di essere un attento ascoltatore. Nella sala da pranzo regnava quello che a Gabriele appariva come un supremo disordine, con libri sparsi ovunque, posacenere pieni di cicche e tabacco di pipa, tazze sporche di tè, giornali stropicciati con una furia distruttrice quasi inspiegabile, pile di compiti in classe dei poveri alunni di Pierre. Per il padrone di casa, invece, quello era il risultato di un faticoso lavoro di rassettamento. Raramente faceva inviti, proprio perché nella maggior parte dei casi giudicava la sua casa impresentabile. E Gabriele non faceva fatica a crederlo. Quella sera si era finalmente deciso a fargli assaggiare il suo famoso stoccafisso, a patto che la permanenza di ospite di Gabriele si limitasse alla sola sala da pranzo. Le altre stanze rimanevano off limits. Gabriele, amante dell’ordine fino alla pignoleria, non ambiva certo a scoprire cosa si celasse dietro quelle porte chiuse. Preferiva guardare fuori dalla finestra la spettacolare asimmetria dei tetti del centro storico, il corpo tozzo e austero del campanile delle Vigne illuminato.
(…)
Si tirò su il bavero, per proteggersi dalle raffiche di vento, che spuntavano improvvise a ogni svolta, nei vicoli deserti. Camminava assorto, barcollando solo leggermente per il molto alcol assunto durante la serata. Pierre aveva insistito per accompagnarlo sino al capolinea della tranvia: aveva una strana teoria, secondo cui il freddo aiutava la digestione. Una granitica certezza basata su nessun elemento scientifico. Gabriele ricordava una sera in cui in un ristorante di Carrù, davanti al famoso carrello di bolliti misti, aveva tentato invano di fargli capire che caso mai era proprio il contrario, che con questa sua mania di uscire a fare due passi dopo pasti sostanziosi rischiava la congestione. Niente da fare, impossibile far cambiare idea a Pierre. E infatti anche quella sera camminava con la sua giacca di tweed aperta, fumando placidamente la pipa, come in una mite sera d’autunno. Le loro voci rimbalzavano contro i muri degli antichi palazzi. In quella zona, non ancora conquistata dalla “movida” dei carrugi, il silenzio era quello perfetto del centro storico a notte fonda. Un silenzio che avrebbe fatto paura ai molti genovesi che identificavano i “vicoli” come un luogo gravido di insidie e che invece a Gabriele ispirava soltanto un grande senso di pace. Senza motori a urtare i timpani.
Aveva esitato a lungo: raccontare le vere motivazioni del suo viaggio a Buenos Aires a Pierre oppure no? Sapeva di poter contare sulla sua riservatezza, ma la faccenda stava assumendo contorni troppo delicati e Gabriele aveva fatto prevalere il magistrato ligio al dovere sull’amico di vecchia data. Gli aveva detto che era in partenza per una rogatoria internazionale, legata a un’inchiesta che gli era stata assegnata solo di recente. Il capodanno parigino nella casa dei genitori di Pierre se ne andava in fumo. A Buenos Aires, però, era estate. E a Gabriele non dispiaceva affatto trovarsi catapultato – pagando lo scotto di un lunghissimo e per lui penoso viaggio aereo – da quell’inverno genovese pieno di gelida tramontana all’estate sudamericana. “Domani ti farò avere una lista di consigli. Devi assolutamente andare a mangiare l’asado alla Cabaña Las Lilas, una delizia, hanno una terrazza meravigliosa, con la vista sulle gru del porto, sul Río de la Plata. E poi devi andare a zonzo nella Boca, è il quartiere dei genovesi, ti sembrerà di essere a casa, i muri delle case sono colorati a pastello, come in Riviera. Ti raccomando poi il mercato delle pulci di Plaza Dorrego…”. Pierre aveva aperto il file “Buenos Aires”… E Gabriele si pentì subito di aver rivelato la sua destinazione. Ora era praticamente obbligato a seguire tutti i suggerimenti, nei pochi giorni a disposizione. Pena, settimane di biasimo, scuotimenti di testa, frasi del tipo “ma come si fa ad andare a Buenos Aires e non vedere la Boca…”. Inutile poi tentare di mentire, al rientro. Pierre in quelle occasioni tirava fuori le sue armi di insegnante e faceva interrogazioni implacabili. C’era, in Pierre, una sorta di autoritarismo dei piaceri, un edonismo così spinto da trasformarsi in obbligo, non solo per sé, ma anche per gli amici. Fare un viaggio con lui significava quindi annullare la propria volontà, rimettersi a tutte le sue scelte. Quando si partiva, senza di lui, ma in luoghi in cui lui era già stato, la cosa si ripeteva, a distanza. Con le sue immancabili liste dei consigli… “Avrò molto da lavorare, Pierre. Devo incontrare un sacco di persone”, tentò di mettere le mani avanti Gabriele. Ma Pierre, insensibile: “Cercherò di mettere a punto un programma mirato alla Buenos Aires notturna, che poi è la sua faccia migliore. Come tutte le metropoli, durante il giorno mostra il suo lato legato all’economia, alla frenesia delle attività diurne. E quindi è meno interessante. La cosa vale soprattutto per le città latine. E per una città che ha molte cose in comune con Parigi, anche dal punto di vista architettonico…”. Oddio, Parigi! Uno degli argomenti su cui Pierre poteva disquisire per ore, quasi senza prendere fiato. Gabriele si rassegnò. Si sedette sul gradino di ingresso di un negozio, appoggiando la schiena alla saracinesca abbassata e si predispose con rassegnazione all’ascolto.
In memoria di Andrea Bianchi
http://www.liguritutti.it/2016/10/20/andrea-professori-ti-insegnano-la-vita/