La bella Italia di Pedrìn

La scena si svolge tra le colline tra Alto Monferrato e Langhe, tra le vigne d’autunno colorate di rosso, arancio, giallo squillante. Una tribù composta di vecchi amici con una schiera di bimbetti urlanti al seguito imbocca in auto uno sterrato con l’indicazione di un’azienda vinicola, alla ricerca di un po’ di vino da comprare. Scendiamo dalle auto nell’aia della cascina sentendoci un po’ degli invasori, temendo sguardi diffidenti e frasi di circostanza (tipo “siamo chiusi, è domenica”). Invece ci vediamo arrivare incontro un signore di una certa età a braccia aperte, con un sorriso cordiale. La sua prima frase è “Ma quanti bambini, allora siete felici!”. Pietro Reverdito lo dice a ragion veduta, visto che per 40 anni è stato maestro elementare di Montechiaro d’Acqui.

Mi piace raccontare di questo incontro un po’ casuale perché l’ho vissuto come l’incontro di un’Italia che mi piace e che a volte anch’io dimentico che esiste. Pietro ha fatto il maestro, con passione e con il senso profondo della missione educativa (“quante volte ho comprato io di tasca mia libri e altri materiali didattici per i ragazzi”, mi racconta), prima ancora ha fatto il partigiano. In una prima fase nelle formazioni di Giustizia e Libertà che operano nella zona di Ponzone, poi in val Bormida coi badogliani. Oggi fa il viticoltore, produce vino biologico nella sua tenuta Te’ Rosse e coltiva, oltre alla vite, il vizio della memoria. Da anni gira nelle scuole a raccontare le sue esperienze e proprio in questi giorni ha pubblicato un libro di ricordi sul periodo a cavallo di fascismo e resistenza. Con un titolo che non vuole lasciar spazio a equivoci: “La giusta parte 1933-1945”. Per l’occasione ha anche imbottigliato un vino, una Malvasia mista a Cortese che ha battezzato “Il giusto vino”. Ce ne offre un bicchiere, sorridendo quasi un po’ imbarazzato di questa sua piccola trovata pubblicitaria.

Esco dalla cascina con una copia del libro autografata sottobraccio, una cassetta di vino biologico, il buon sapore della robiola di capra con cui abbiamo accompagnato gli assaggi e le chiacchiere. Recupero Lisa che scorrazza felice tra galline, asini, gatti, oche, cani e mucche. E vorrei poterle spiegare quanta ammirazione provi per uomini come Pedrìn, partigiano, maestro, provetto giocatore di balòn (il pallone elastico grande passione di queste colline), oggi agricoltore biologico, custode delle vigne di famiglia, ma anche delle memorie partigiane di questi luoghi. E vorrei dirle che è grazie a persone come lui che ancora vale la pena di vivere in questo paese. Un giorno lo farò, prometto.

P.S (20 novembre 2009): Come promesso, ho inviato una copia del mio libro a Pedrìn. Stamattina l’ho chiamato per avvisarlo. Era contento. Gli ho anche chiesto se potevo usare una sua foto per il mio blog. Ovviamente lui ignora felicemente cosa sia un blog, non usa internet, coltiva le sue viti stando ben alla larga dai mondi virtuali. Però mi ha detto di usare pure la sua foto, “tanto io non sono nessuno”, mi ha detto. Il bello di persone come lui è proprio questo, il bello dei tanti “nessuno” che hanno fatto e fanno ancora l’Italia migliore.

Ecco la foto, secondo me è bellissima, dietro quelle rughe si intravede l’anima, l’ha scattata il mio fraterno amico Stefano Besio (Nome di battaglia, Bracco). Che ringrazio.
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