Memoria rinnovabile

Forse era inevitabile che un libro che ha scelto di stare dalla parte dei partigiani avesse come destino quello di rimanere un po’ clandestino. Però, in “clandestinità”, si fanno incontri piacevoli, come con le persone che venerdì sera sono venute a sentire la presentazione a Casale Monferrato, la città della Banda Tom (al centro anche di lavori musicali dei miei amici Yo Yo Mundi). O come quello con l’Anpi di Cernusco sul Naviglio, che ha messo in piedi un bel sito (La memoria è un bene rinnovabile), dove trova spazio anche una recensione del mio Corsaro a firma di Giovanna Perego, che ringrazio.

La trovate a questo link. E la incollo anche qua sotto:

Silvano Rubino
NOME DI BATTAGLIA:
CORSARO
Fratelli Frilli Editori (2009)
Una città, Genova, due momenti storici, la Resistenza con
l’immediato dopoguerra e un passato recente (2003-04), un delitto
che, casualmente, apre una serie di pagine di una storia personale e
nazionale solo apparentemente lontana, che si snoda tra Italia e
Argentina. Questi gli ingredienti del primo romanzo di Silvano
Rubino, un giallo in cui il beffardo gioco dei destini incrociati porta il
magistrato Gabriele Palma a scontrarsi con l’ingiustizia della giustizia
e con l’oblio della memoria, due collisioni che segneranno il giudice e
l’uomo, due mali che condannano ogni società allo sfaldamento e allo
scontro sociali. Tuttavia Gabriele, disilluso ma coerente nella sua
professione, confuso, vagamente adolescenziale ma pure ottimista
nella sua vita privata, è solo apparentemente il protagonista di questo
romanzo. In realtà, nonostante una sola, fugace apparizione, su tutto il
racconto incombe la presenza del partigiano Corsaro, la cui vicenda
narrativa fa esplodere l’insanabile dicotomia tra diritto e Storia. Di
fronte a questa divaricazione, Gabriele, da magistrato, fa fino in
fondo il suo dovere, da uomo, prende piena coscienza della necessità
di compiere delle scelte nella vita, anche se dolorose.
La storia di Corsaro, assai simile a quella di molti uomini e donne
della sua epoca, si dipana nel romanzo lenta e inesorabile: dalla
passione giovanile per Salgari e per la retorica fascista, alla delusione
per la vacuità e la viltà del regime, fino alla decisione di prendere i
sentieri della montagna. Una scelta, quest’ultima, foriera di
imprevedibili conseguenze per sé e per i suoi cari, che lo costringerà,
anche dopo la Liberazione, a non smettere le armi e a vestire fino in
fondo gli abiti del Corsaro Nero, di colui che «non dimentica un torto
subito e lotta fino alla fine per fare giustizia di tutti i suoi nemici». E
Corsaro, constatati l’esplicita volontà di rimuovere la memoria e il
tradimento degli ideali per cui aveva combattuto, decide di sostituirsi
alla giustizia, e lo fa in un’ottica del tutto laica, certo che «il mondo
non sappia punire da sé chi sbaglia» e convinto della responsabilità di
ogni singolo individuo di fronte alla Storia.
Scevro da ogni retorica resistenziale, il romanzo ci restituisce il
tuttotondo non di un eroe senza macchia, ma di un uomo con tutte le
sue virtù e le sue debolezze che non può fare a meno di trasformarsi
in giustiziere, condannando se stesso a un’esistenza che non avrebbe
voluto vivere. «[…] non aver vissuto è il mio unico rammarico. Provo
pietà per me stesso, per la persona che avrei potuto essere e non sono
stata, per la famiglia che avrei voluto creare in luogo di quella che mi
era stata sottratta, per la casa che avrei voluto riempire di voci nuove,
visto che quelle antiche erano state forzatamente spente. Provo pietà
[…] per la mia città, rimasta soltanto un eterno rimpianto, per la mia
patria libera, per la quale ho combattuto e versato lacrime e nella
quale ho potuto vivere così poco. Provo pietà per quell’innocenza
perduta che mi ha condannato […]».
Giovanna Perego


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