I luoghi di Corsaro 3/ San Francesco

Silvio Soldini è un regista che mi piace molto. Ha una sensibilità e un tocco che sento molto vicini, sin dai suoi primi film (per esempio Le acrobate o Un’anima divisa in due). In questi giorni sta per uscire il suo nuovo lavoro, che cercherò di non perdermi, come tutti gli altri. Ma è del suo film precedente che vorrei parlare, Giorni e nuvole, perfettamente ambientato in una Genova molto vera. C’è una scena intensa, in cui Margherita Buy e la figlia si incontrano in un giardino, con vista sul porto, sul mare e sul centro.

Quando ho visto il film ho sobbalzato sulla sedia. Perché mi ha fatto davvero piacere che Soldini abbia scelto uno dei luoghi del Corsaro (ovviamente senza saperlo!). Onore al merito del regista o di chi per lui ha lavorato sulle location, perché il piccolo giardino antistante al Santuario di San Francesco da Paola, sulle alture di Genova, è il classico luogo genovese un po’ nascosto, per niente battuto dai turisti, ma nemmeno dagli stessi genovesi, eccezion fatta per chi vive in quel quartiere.

È un piccolo angolo di pace, un luogo protetto e ombreggiato da antichi alberi dove si portano i bambini a giocare, al pomeriggio. Nelle giornate di tramontana è anche un rifugio dalle raffiche di vento (apprendo da internet che «prima dell’edificazione della chiesa la località era chiamata “Caldeto”per la mitezza del clima che la caratterizzava, essendo in una posizione alriparo dal vento e spesso soleggiata»). Merita una visita, magari arrampicandosi lungo la creuza che dalla zona del porto si arrampica sino in cima alla collina (come direbbe Max Manfredi “Genova città ripida, buone gambe per camminare”). Soprattutto merita una sosta, silenziosa, riflessiva, come quelle di Gabriele Palma.

“Erano seduti su una panchina dei giardini antistanti la chiesa. Nulla più che pochi alberi circondati da aiuole, una terrazza di asfalto e cemento, benedetta da una vista imbattibile sul porto. Un angolo dove, al pomeriggio, giocano i bambini del quartiere, da generazioni. E dove da bambino aveva giocato anche lui.
Il leccio accanto a cui erano seduti emanava un forte odore di corteccia. Gabriele guardava oltre la ringhiera, seguiva come ipnotizzato una mastodontica nave da crociera che percorreva il tratto di mare tra il porto e la diga foranea e intanto toglieva il cappuccio, ad una ad una, alla manciata di ghiande che aveva raccolto da terra. Il cielo era limpido e Gabriele si godeva come un toccasana il lieve tepore del sole ormai alto. C’era un silenzio abbastanza innaturale, in un posto che per lui era sempre stato colorato di schiamazzi infantili”.


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